Dicono di GZ

29.7.08

ta-Ta-TAA...



...PA-PAAAAAAAAAAAAAAA

BOM-bom-BOM-bom-BOM-bom-Bom

[da S. Kubrik, 2001: Odissea nello spazio; cf. anche R. Strauss, Also sprach Zarathustra: Einleitung]

13.7.08

Parola di Filippo Bellissima

Dall'enciclica del Sommo del dì 18 d'ottobre, anno 1997:
[si mantengono l'ortografia, la punteggiatura e la lingua del tempo: non ci sono refusi, non di sola stampa almeno]
Ci siamo venuti a trovare improvvisamente tutti ignoranti inconsapevoli, (io fino a ieri), Papi, Re, Presidenti, Ministri, Senatori, Deputati, Cardinali, Gesuiti, Professori, Presidi, Bidelli, Sindaci, Assessori, Consiglieri, Gianni Agnelli, Marzotto, Benetton, preti, carabinieri, poliziotti, vigili, figli, insomma tutti nessun professore ha la titolarità d'insegnare ingnoranza. Va verificato subito! Non devo lasciare scritti alle nuove generazioni, ma il funzionamento per non andare tutto sperduto. I professori che si rifiutano vanno considerati delinguenti e ladri che si fregano gli stipendi pagati dagli studenti! Peggio! Perché trasmettono ignoranza alle nuove generazioni! Questo non deve accadere più! Capito Papa! Presidente della Repubblica Italiana Luigi Scalfaro!
Filippo Bellissima, prega per noi.

11.7.08

Per i poteri conferitimi dalla repubblica delle Banane...

Come la maggior parte di quelli che leggono il blog già sanno, oggi sono diventato dUottore, e le cose, lo ricorderete, si sono svolte in questo modo:



Grazie a tutti quelli che sono intervenuti, ma soprattutto a.

10.7.08

La zanzara attacchina

A un passo dalla laurea che mi porterà via da questa stanza, comincio ad avvertire il dramma di chi perde per sempre cose divenute ovvie. Nel tentativo di preservare un ricordo simpatico, riporto qui di seguito la tenzone che ha avuto luogo sulla porta d'ingresso allo Stanzino di Dro-San (anticamera del Tempietto), su cui già da tempo troneggiavano il "Blanda quies habitet: duri procul este labores" del buon Agnolo e il cartello "Per le signore della Fulgida: Vi prego di tenere chiusa la porta, durante le pulizie, per evitare che entrino le zanzare. Grazie". Cartello naturalmente sempre disatteso. Ma le zanzare, come si sa, popolano anche le Tesi per la Corona di Dro-San. E per l'unione di questi fatti, qualcuno ha appiccicato sulla mia porta la seguente poesiola di Giacomo Lubrano (1619-1693):

Alla zanzara che disturbava l'autore negli studi litterarii [sonetto XXXIX]

Istrice minutissimo, che irriti
sveglie d'Impazienza a l'ore oscure:
punto sol divisibile in punture,
per turbar bisbigliando ozii eruditi:

de la tua tromba a' strepitosi inviti,
dà il Tedio a l'armi, e fumano l'arsure;
e se mai cerca il sonno ombre sicure
gli occhi chiusi ad un vol piangon feriti.

D'importuni susurri atomo vivo,
formi un'Eco di piaghe a chi più tace,
cangiando in strale il sibilo furtivo.

Quanto miseri siam? un suon mordace
c'insanguina i sudori al caldo estivo:
ci ruba un schizzo d'Essere la Pace.

Cosa potevo fare io, non conoscendo l'autore né sapendo come contattarlo? Ho risposto alla 'provocazione' con un foglietto (giallo) attaccato alla porta, su cui avevo scritto:

A col..i che del carme onorommi

Virtute ch'a ogni ingegno vigoria
per l'ozio de li studi attesi infonde,
e paga dell'oblivio Ritrosia
rampollan de la mano tua, se d'onde

io pur ignoro, amico over graziosa
fanciulla de le lettere lettrice,
strenna cotal promani dilettosa
che lubrico poeta inventa e dice.

Ma già l'animo mio l'affetto incende
di quella soavitate, che sì rara
volle all'uscio tetro apriche ammende

fornir, giungendo in guisa di zanzara
che il guiderdon scarlatto al buio prende
esatta e mai per lume si dichiara.

Pisis 13.IV.2008

La cosa si è conclusa con un'ulteriore affissione alla porta - questa volta per mezzo non di normale scotch (quello che, con binomio nazionalista, viene chiamato "nastro adesivo" all'Albero Azzurro) ma dell'etichetta adesiva di un pacchetto di fazzolettini di carta - di un testo, stavolta originale, dell'anonimo attacchino (anche questo dattiloscritto, e quindi non sottoponibile alle mie note virtù di paleografo). Questo il testo:

Amico, ch'al Lubran in versi rendi
la pariglia, non dei temer l'offesa
d'animi grevi, spirti cupi, orrendi
lacci, fu ingenuo scherzo, gioco, lesa

maestà non fu certo. Strano mi par
che fastidioso ti fia l'agro
esserin, che delle tue veglie è compar [sic: 12 syll.],
prince d'un testo sì caro - pur magro...

Perdona i miei versi, vacui, modesti:
terrò le tue rime a ricordo, belle
davvero; terrò anche - sì - celato

chi del gesto l'autore sia stato.
Non cercare, ti prego, fra le stelle
(o le stalle) un nome - pace ti resti.

Ho apprezzato molto lo scambio, già per il tono giustamente ammezzato fra serio e faceto, ma anche perché suppongo venisse da 'animo amico', di chiunque esso sia.
Sarà poi un ricordo un po' "ab-Normal", ma è pur sempre un ricordo. E soprattutto non coincide col facocero che abita nella stanza di sopra...

9.7.08

L'Accademia del Falqui - 1

Oggi, nella mia sovrana ignoranza, mi sono impressionato davanti alla parola coventrizzato che il mio Ferreo relatore ha scritto in un'email. Ho dunque cercato negli Atti del devoto Oly, che così recitano sotto la voce coventrizzare:
v. tr., non com. [lo puoi dire forte ndr]: Distruggere completamente, radere al suolo con bombardamenti aerei. - Dal ted. koventrisieren [non è uno scherzo ndr], con riferimento ai bombardamenti a tappeto effettuati dalla Luftwaffe sulla città industriale inglese di Coventry nel 1940, nel corso dei quali la città fu quasi rasa al suolo in due giorni || 1942 [= prima attestazione ndr].
Il verbo era detto di una persona...

I più fortunati ricorderanno che il mitico Psilvi (dal gr. psylbioi, "scienziati") coniò, per l'arte di edificare torrette medievali su un piano di gioco opportunamente imposto sul tavolino dell'aula colazioni del Timpano, la parola castellize (pron. 'kastəlaız).

7.7.08

Lesson 1: The elephant is under the table

Dunque: ognuno di noi ha le sue aspirazioni, ognuno di noi vede il mondo dal suo invalicabile castello, ognuno di noi spera in un mondo confezionato a sua immagine. Per tutti gli altri c'è mastercard... ma non solo (tante grazie, Natura):

4.7.08

Sana e robusta Costituzione

Il sito di Repubblica ha pubblicato (e, così facendo, sostenuto) un appello contro le leggi-vergogna. Io l'ho firmato, per quanto, a mio parere, una legge votata in Parlamento non sia mai vergognosa, se quel Parlamento è stato legittimamente eletto dal popolo. Al limite, dunque, è il popolo ad essere vergognoso. Perché allora l'ho firmato? Ho trovato la risposta in Quelo, e la riporto.
Si potrebbe dire che la Costituzione è il potere del popolo che parla di sé. Si potrebbe dunque dire che quel popolo che si è dato la Costituzione ha ormai raggiunto un livello culturale tale da consentirgli di parlare di sé e autoregolarsi ed espletare la propria sovrana autorità. Allora mi chiedo: che diritto hanno dei Costituzionalisti [sottolineo la C maiuscola] di rinfacciare al popolo, nella persona di Silvio Berlusconi e dei suoi [sottolineo "suoi"] ministri, che sta facendo qualcosa di sbagliato? Poiché - mi pare - chi parla della Costituzione dall'esterno, chi ne fa un oggetto di studio, non può che ritenersi avulso dallo stesso popolo che è invece rappresentato dalle cariche che agiscono proprio in virtù della Carta, che è essa stessa il popolo.
Si può fare lo stesso discorso al contrario: perché mai uno dovrebbe protestare contro una cosa ritenuta "contro il popolo", quando è esattamente il popolo ad averla fatta, e ad avere tutti i diritti di fare, all'interno dei propri confini, ogni qualsivoglia cosa, anche contro i propri interessi?
Mi rispondo questo: che in un territorio nazionale (o almeno nel nostro) non c'è un solo popolo, ma è propriamente "popolo" solo quello che viene rappresentato in Parlamento e/o dalle cariche maggiori. Si direbbe quindi che c'è un popolo di maggioranza e uno o più popoli di minoranza, cui appartengono (con eventuali suddivisioni) tutti quelli che non fanno parte del primo.
Ma a questo punto mi chiedo: la democrazia cosa prevede? Che vinca il popolo di maggioranza, sempre e comunque, o che - laddove ci siano conflitti tra popolo di maggioranza e popoli di minoranza - anche questi ultimi possano legittimamente vincere? Purtroppo la risposta è scritta nella Carta che il popolo si è dato: vince la maggioranza. Mi chiedo allora se non abbiano ragione quanti dicono (anche se partendo da ben diverse premesse) che la nostra Carta Costituzionale è vecchia e va aggiornata, e mi rispondo senza nessunissima ombra di dubbio che sì, la Costituzione va cambiata. In che senso?
La Costituzione non ha (non ha più) influenza diretta sui diritti civili come la libertà personale e la libertà dello studio ecc., dal momento che essi sono tutelati a livello internazionale dalle varie Carte dei Diritti. Né si può pensare che la Costituzione abbia influenza sul corso politico del Paese, dal momento che esso non è, in generale, influenzato dalle leggi costituzionali più di quanto lo indirizzino le leggi internazionali (che vietano dittature e quant'altro).
Cosa resta, dunque, solamente della Costituzione? Cos'è che distingue la Costituzione della Repubblica Italiana da ogni altra Carta? Ma è esattamente questo: è la "Costituzione della Repubblica Italiana" e in quanto tale ha diritto a imporre i dettagli, a spennellare il mosaico politico e culturale dell'intero mondo in quel remoto ma precisissimo angolo che coincide con il suolo della Repubblica Italiana, della quale definisce con esattezza i modi e l'identità.
Ha dunque il diritto di imporre la presenza di un Presidente della Repubblica con determinati poteri (che in altri stati in cui vige la stessa cultura dei diritti possono spettare ad altre figure), un Consiglio dei Ministri ecc. Ma soprattutto impone che "la sovranità è del popolo". Ma chi è questo popolo?
Dicevo sopra che credo esistano più popoli, nel suolo italiano, talmente diversi da essere (come suggerirebbe La Palice) diversi, quindi da trattare in modo diverso. E la Costituzione è assente in questo: non suggerisce chi, in caso di contesa, possa avere più diritto a vincere, poiché attribuisce il potere al generico popolo, prevedendo che esso sia maggioritariamente a favore di se stesso. Ma il presupposto è sbagliato: un popolo, come qualunque organismo, favorisce se stesso solo se ha cognizione di esistere, e il popolo italiano non possiede questa cognizione. Il popolo italiano non sa ancora (o vorrei dire non sa più) di essere un popolo. Infatti, il popolo di maggioranza è un popolo fattizio, di quelli che si riuniscono per un caso che ha ammassato sullo stesso fronte decine e decine e decine di anime senza alcuna connessione. Il popolo italiano non è un concerto: è la fila davanti al bus che tutti prendono per scendere a fermate diverse. Molti scenderanno ad una stessa fermata, ma altri andranno oltre, verso la periferia o anche fuori città, venendo dimenticati nello stesso momento in cui quei "molti" sono già scesi per rintanarsi nel quartiere che, a loro insaputa, li ospita tutti.
La Costituzione non fa questo: non fa in modo che il popolo italiano si ricordi di esistere ben oltre la casuale convivenza nello stesso quartiere, che porta per forza di cose molte persone, ignare le une delle altre, a scegliere come rappresentante al comune uno del loro stesso rione, a sua volta ignaro dell'identità di chi lo elegge. La Costituzione, in poche parole, viene a mancare sul punto per lei fondamentale: il popolo italiano non esiste, e quindi la Costituzione stessa non esiste.
Abbiamo però dimenticato anche noi, anche se solo per un momento, il popolo di minoranza. Può essere un grumo di popoli, al plurale, ma immaginiamo che si tratti di un gruppo compatto, di un unico popolo. Allora c'è la possibilità, se non di riconoscere un popolo italiano, almeno il famoso popolo di maggioranza che pare presupposto dalla Costituzione: il popolo di maggioranza è esattamente quello che non coincide con il popolo di minoranza. La Costituzione viene dunque resuscitata, insieme al popolo di cui essa stessa è il cuore, viene riattivata, insieme ai nervi che la animano, proprio da quella ganga, quell'appendice inerte, quel residuo evolutivo che importa proprio perché la sua inerzia permette di verificare l'energia, la sua anoressia il rigoglio della maggioranza.
Si dia però il caso che la parte inerte, per un motivo qualsiasi, voglia fare gli interessi della parte maggioritaria, la parte che (al momento) ha il dominio dell'organismo "suolo nazionale" (dove il "suolo" è tanto concreto quanto metaforico). Mettiamo anche che il popolo maggioritario rifiuti questo consiglio proveniente dalla parte inerte, che esso voglia (deliberatamente o no) prestarsi alla morte? Non è, badiamo bene, come l'eutanasia: l'eutanasia può coinvolgere certo altre persone oltre a quella che decide (e decide, appunto, quindi delibera, è consapevole) di morire, ma non incide sul loro diritto a continuare la propria vita. Qui stiamo parlando d'altro: la parte maggioritaria può decidere di morire, ma ciò impone che anche la parte inerte muoia senza possibilità di appello. E' giusto questo?
Secondo me no. Ma vi spiego perché. Da piccolo ricordo benissimo che alle elementari capitava spesso che i miei compagni facessero casino durante la prima parte della giornata, e che questo portasse le maestre (le "educatrici" come si dovrebbe dire e, soprattutto, auspicare) a dire: "oggi nessuno farà ricreazione, così imparate tutti a comportarvi come si deve". E ricordo che io, in una di queste occasioni, obiettai: "Ma allora a cosa serve che io finora mi sia comportato bene?". Potremmo trasferire la cosa al popolo di minoranza e dire: perché questa minoranza, che pure cerca di fare sopravvivere degnamente sì se stessa ma anche la maggioranza, non dovrebbe essere lasciata libera di svolgere ciò che permette il proseguimento della situazione in cui è permesso decidere, fosse anche decidere di autodistruggersi?
La Costituzione manca in questo: manca nell'indicare la possibilità che essa stessa, cioè il popolo (di maggioranza), possa essere redarguita, possa essere opposta a se stessa perché essa stessa sussista (nonostante l'orribile allitterazione che questa situazione produce). Manca nell'indicare che esiste qualcosa, al di là del popolo stesso, che tutela il popolo dall'autodistruzione.
Cos'è la cosa, dunque, che manca nella Costituzione e che ne garantirebbe - se solo la si lasciasse susisstere - la sopravvivenza? Cos'è il 'benefico cancro' che inoculato nei gangli della Costituzione le permetterebbe di decidere di se stessa con consapevolezza? Cos'è, in una parola, la garanzia per l'esistenza di un popolo italiano consapevole di se stesso?
Questa cosa, secondo me, è l'etica. Non quella del fruttivendolo che non dà un solo grammo di verdura in meno, né quella di un colpevole qualsiasi che ammette di essere appunto colpevole. L'etica è il pacchetto biologico che preserva la conservazione delle leggi, è il collante del popolo, di qualsivoglia popolo. Essa non si aggiunge al popolo, ma ne è la madre, e non c'è popolo (veramente tale) che non sia figlio di etica, non c'è relazione tra popoli che non sia relazione tra etiche, non esiste garanzia che non sia etica. [eviterò di contraddire la liceità della falsa-etica, vale a dire p. es. della bio-etica di stampo binettiano: non è di questo che parlo per ora]
Nel nostro caso cosa farebbe questa coltura in provetta? Cosa farebbe, aggiungiamo, se la Costituzione le permettesse di ammantarla dall'alto? Direbbe: tu, o popolo, sei te stesso solo se mi permetti di informarti, altrimenti non esisti. E tu - rivolgendosi al popolo di minoranza - sei te stesso solo se esiste la maggioranza. In una parola (o quasi): l'etica è la base della concordia, nel senso che solo l'etica permette l'esistenza stessa dei popoli, proprio perché ne è la madre, e non si dà generazione senza madre. E se a invocarne l'aiuto non è il popolo di maggioranza, bensì il popolo di minoranza, chi l'avrà vinta? Bisognerà dire che il popolo di maggioranza vince sempre, oppure che il popolo di minoranza può decidere anche per la maggioranza? Ma abbiamo già detto che, se l'etica è invocata dal solo popolo di minoranza, e se il popolo di maggioranza la rifiuta, perché possano continuare a esistere entrambi deve vincere il popolo di minoranza.
Quindi la Costituzione, per concludere, manca in questo: non ammette la possibilità che l'etica provenga non da quella parte di persone, residenti in uno stesso suolo nazionale, che si riuniscono in un popolo-maggioranza, ma piuttosto da quelle altre che, dopotutto nello stesso suolo nazionale, costituiscono il popolo-minoranza. La Costituzione, praticamente, non permette che nessuno, a parte il popolo-maggioranza, decida di Lei, di se stesso, e di tutte le minoranze.
E' questa democrazia o no? Secondo me, sì: la democrazia - per come si è configurata - è esattamente la condizione in cui, se un popolo esiste in quanto gruppo consapevole, allora esso si autopreserva perché ha facoltà di farlo, ma, se un popolo esiste in quanto gruppo casuale, allora esso può anche autodistruggersi perché ha facoltà di farlo.
Ma con la garanzia dell'etica questa situazione muta: la democrazia diventa quella forma non di sovranità, bensì di auto-sovranità, in cui la parte più attenta all'autoconservazione della Costituzione vince, in cui la parte che invoca l'etica e se ne fa veicolo vince su tutto, anche sulle decisioni proprie della Costituzione e di ciò che la rappresenta.
E l'etica di cui parlo, tanto per intenderci, consiste nella legge: "nessuno può decidere di uccidere se stesso o di farsi del male, se questo comporta che parti senza facoltà di decidere patiscano la stessa sorte". O si potrebbe dire: "l'ordinamento repubblicano non è sovvertibile", cioè non è sovvertibile la condizione in cui ogni cosa, salvo la propria libertà personale, appartiene a tutti e per questo non può essere uccisa, laddove quella stessa "ogni cosa" garantisca la vita di tutti.
E' questo che la Costituzione non fa: non riconosce la repubblica, che pure è il belletto di cui si fa più vanto. La Costituzione dà per scontato che tutto continui a esistere anche senza linfa. La Costituzione, per come è conciata ora, permette che Berlusconi venga eletto a suo Presidente, che colui, anzi coloro, per meglio dire, che rosicchiano le linfe del suo corpo arrivino fino ai suoi centri vitali, spegnendola. La Costituzione non fa in modo che la sovranità resti di sua esclusiva pertinenza. La Costituzione non pone limiti a se stessa, e in ciò fa bene se non per il punto che riguarda l'etica: l'etica, che ancora una volta sostengo essere quella cosa che impedisce ad uno di uccidere se stesso se questo comporta l'uccisione di altri, deve vincere sulla legge, se questa legge è il cancro di se stessa.
Allora ritorno all'appello: che diritto ho io, appartenente al popolo di minoranza (o in qualche modo io stesso come unitario popolo di minoranza), di firmare un appello che, di fatto, va contro la Costituzione? un appello che, di fatto, va contro le decisioni raccolte nel fertile bacino della Costituzione? Il diritto è fornito da questo: l'appello è stato firmato da molte altre persone, da molti altri popoli-minoranza, che non si riuniscono - pur diversi - per un puro caso, ma che si riconoscono nell'etica della salvaguardia comune, si riconoscono come vasi periferici del cuore pulsante della Costituzione. E' la consapevolezza comune, la consapevolezza dell'etica comune, a rendere questi vari popoli-minoranza un unico popolo-minoranza tale da opporsi al popolo-maggioranza. E, se vale il discorso fatto sopra, è questa risultanza di tanti cittadini diversi, ma tutti accomunati dalla fede nell'etica, a dovere decidere della Costituzione, che essa voglia o no. In che modo la Costituzione può accettare questa situazione? Sciogliendo la propria concretezza, sciogliendo il proprio Governo e il proprio Parlamento, decidendo autonomamente di beccarsi una benefica febbre guaritrice, un'irregolarità fisiologica che però assesti la sua prospettiva di vita.
Deliro forse? Ma soprattutto: è forse dato sperare di sopravvivere? Perché purtroppo non esiste garanzia per questa speranza. L'unica cosa che resta da fare è acchiappare l'ultimo brandello di vita e tentare in ogni modo di rinfacciarlo all'auto-cancro che è il Governo, e quindi il popolo stesso. Fare ogni cosa, dal firmare appelli sul sito di un giornale che largamente ha contribuito all'ascesa di Berlusconi, al gridare le più sante bestemmie dalla Torre della Ragione, per salvare se stessi e anche i figli dei nemici.

Deliro forse?

edito tanto per aggiungere che questo politichetto da quattro soldi non rappresenta affatto l'etica di cui parlo sopra, bensì una parte scissionista del popolo della maggioranza, che abbiamo dichiarato essere senza etica (chi era che diceva che era lecito votare solo o lui o quell'altro?).

2.7.08

Sant' Ankais di Lourdes, prega per noi

Finalmente, a soli 9 (?) giorni dalla data comunicata per via ufficiosa tra i cassonetti del basso Bronx, sono lieto di annunciare a tutti voi (che peraltro lo sapete già, o immaginari miei amici) che


edit: Grazie a Sant'Apì Samer-Dah (beato berbero-labronico, ex-bestemmiatore della curva nord) ho saputo che l'appello è alle 09.00 in dipartimento.