Dicono di GZ

7.8.08

Che bell'organo, maestro!

Titolo accattivante da porno fascista per il mio diario da Erice, dove Dro-San è eroicamente giunto per assistere a uno dei più bei concerti mai visti...
Ma partiamo insieme a Dro-San che, in un torrido mattino d'agosto, si fa accompagnare a Palermo per prendere il pullman della "Segesta" che fa la tratta da Palermo a Trapani (si noti che da Palermo parte un pullman ogni mezz'ora: non sarà lo stesso, nel percorso inverso...). Il pullman è già dotato di rinfreschi condizionati, e il sedile è comodo, e sull'ipodde è già partita la collezione dei pezzi che verranno suonati la sera... Ma. Alla prima fermata sale un simpatico energumeno tutto fradicio d'estate: fermento delle mie narici. Alla seconda, un ameno vecchietto che si addormenta subito sul sedile dietro il mio: concerto pre-concerto. Ma non lamentiamoci troppo: il viaggio è ancora lungo.
In realtà pensavo di arrivare dopo 10 ore di sfacchinate mostruose - code in autostrada, incendi, supermostrigrecispaziopersiani - e invece dopo un'ora e mezza eravamo già 'n.Tràpani, e il caldo è peggio che di là.
Mi metto ad aspettare sotto il tabellone della SAU, la compagnia che gestisce le linee urbane trapanesi, e dopo vari quarti d'ora arriva il numero 23 (che, come tutti sanno, nella tombola siciliana corrisponde al c***ulo) che porta Dro-San e la sua fida valigetta alle soglie della stazione per ascendere al monte. Dunque biglietto e subito dentro un uovo dei tanti che arrivano, si aprono e ripartono alla volta di un posto talmente antico che per arrivarci è meglio usare la modernissima funivia. Tanto per gradire:

Arrivato quasi in vetta, resto stranamente affascinato dalle tante torri che merlano l'arrivo: certo una è più antica delle altre (la vedete?) e soprattutto non deturpa il paesaggio notturno con cento lucette impertinenti...

... ma dopotutto sono indispensabili. Ah, dimenticavo: giusto per fare onore al post paleografico di Mauro segnalo i simpatici cartelli di avvertenza appiccicati dentro l'uovo:


Le immagini, nell'ordine, significano: non mozzarti una mano, non precipitare, trance mortali, cadaveri occasionali, bowling vietato, abbasso le multinazionali. Ma per alcune persone le immagini possono essere inutili, ergo

Va da sé che il messaggio in braille è esattamente nel punto su cui è vietato appoggiare mani e piedi.
Comunque, Dro-San smonta dall'uovo [allivedelci, amico uovo!] e, dopo avere chiesto informazioni ai locali vecchietti-che-vivono-nelle-stazioni, si dirige - manco a dirlo - verso "Ulisse" in via Santa Lucia (la quale, in una versione ericina del mito, fu accecata dai compagni dell'itacese perché voleva convertirli). La proprietaria, che mi risulta chiamarsi Circe, mi saluta con il cenno di chi sa il fatto suo, e mi manda la nipote ad aprire il portoncino. Apre poi una porta, all'interno, e io mi dico: "Deh, se è nel sottoscala dev'esse pefforza un uffiscio". NONZI: This is my room. My room is under the stairs. Tuttavia è carina, e abbastanza grande (considerato che in realtà è una doppia), e il bagno è ben fatto: insomma, molto molto molto meglio di tanti tre- o quattro-stelle che ho visto all'estero.
Mi preparo per cena e, molto oppoltunamente vestito di maniche lunghe (per il momento non apprezzo, ma apprezzerò), mi dirigo al ristorante. Sulla strada si erge la chiesa di S. Martino, che ospita il festival di cui questo sarà l'ultimo concerto, e che ostenta proprio la bellissima locandina del festival.


Il ristorante, gestito dalla stessa famiglia della pensione, si chiama anche lui Ulisse. Soprattutto, "tutti gli altri fanno schifo": un commento disinteressato, naturalmente, ma che mi convince abbastanza. Né me ne pento, visto che gli strozzapreti [dio benedica questo nome] con vongole e gamberi e il prodigioso dessert al 'bacio di Venere' (una specie di boero con il fuori di cioccolato duro ricoperto di cioccolato caldo, e l'interno di cioccolato molle; ma meno stucchevole di quanto possa sembrare) mi saziano dignitosamente, insieme al caffè che spero mi tenga sveglio durante il concerto per vedere il quale mi sono stancato così tanto.
Parte della stanchezza, dimenticavo di dire, è procurato dall'antico pavimento cittadino (su cui naturalmente non possono marciare pneumatici e porcherie varie) che, tra intercapedini, malte, ciottoli e dissesti, a volte inganna il passo (e ripenso ai meravigliosi aneddoti sulla caduta di Caterina e dei suoi denti per le scale del battistero). Ma è troppo bello, per quanto il sopraggiunto buio non mi permetta molte foto riuscite:

Ovviamente la pendenza è del 50% e io mi sento molto scimmia che risale gli specchi.
Sulla strada per tornare un attimo in camera prima del concerto, mi accorgo che hanno già aperto la vendita dei biglietti: il ridotto è solo per studenti minorenni accompagnati da genitori scompagnati con documentata riduzione dell'udito e carnet di marche da bollo. Quindi prendo un biglietto intero, sorrido e, rileggendo il programma, faccio il famoso ritorno ad Itaca, per uscirne di nuovo a un quarto d'ora dall'inizio del concerto, previsto per le 21.30.
La chiesa di San Martino è stata restaurata da poco e, se il nucleo gotico è stato soppiantato dalla mole rinascimentale e barocca, tuttavia non si ha quell'odioso rigetto di putti e dorami vari; qualche crosta qua e là, ma nel complesso un ambiente molto piacevole. Notare: sono state approntate diverse file di sedie laddove di solito ci sono tristi inginocchiatoi. Se non è un'ossimorica scelta illuminata della curia, mi viene da credere che questo luogo non sia più sede di oltranzismo, e provo piacere a pensare che proprio qui ascolterò un civile suddito di Sua Maestà Beatrice Regina dei Paesi Bassi (che anche il nome del regno...).
Mi metto a sedere, fulmino la finta scema che continua a piazzarmi le scarpe sotto ar.c***ulo (appoggiandole sull'assicella della sedia, già scomoda di suo), e trepido dall'emozione quando vedo un simpatico ometto canuto che affronta il transetto da un'uscita laterale. Ha un frac, il papillon bianco, i gemelli ai polsi, e vari altri orpelli ed ammennicoli che dimostrano il rispetto per un pubblico pur ridottissimo rispetto al suo solito. Si ritira per qualche altro minuto nella stanza dei vip appositamente montata, io continuo a invocare anatemi contro la scema alle mie spalle (e sotto le mie nobili natiche). Infine, Ladies & Gentlemen, vi presento Bob van Asperen.
Lì per lì ho un attimo di panico: so che non può essere così, ma alla luce delle lampade (che sono state velate per avere le luci più soffici: ottima idea) ho l'impressione che, sotto il nero del frac e dei pantaloni, ci siano due terrificanti scarpe marroni con un'ingombrante suola di gomma nera. Più volte tremerò davanti a questa singolare "impressione", ma lui è davvero troppo grande e gli concedo anche il frac ultravioletto, se proprio vuole.
Si arrampica dunque sul seggiolo del claviorgano. Ah, dimenticavo: nell'attesa, ho ammirato questo meraviglioso strumento, che pare essere stato di moda nel primo Settecento, e che è stato restituito al gaudium mundi grazie all'opera dell'organista Enrico Brizi e dell'organaria Pinchi: per informazioni sullo strumento, clicca qui [esempio di funzione poetica del collegamento ipertestuale]. In breve, si tratta di un clavicembalo montato su un organo, con la possibilità - tramite alcune leve - di azionare un sistema di innesti in titanio che uniscono i due strumenti: si può quindi suonare l'organo da solo, il cembalo da solo, ognuno dei due strumenti con la propria tastiera oppure entrambi con un'unica tastiera; il tutto, ovviamente, con la possibilità perpetua del pedale dell'organo e della diversa registrazione di organo e clavicembalo. Insomma: uno strumento TOTALE.
Il primo pezzo è il Ballo del Granduca nella versione di Sweelinck, seguito dalla Pavana Lachrimae: ingresso fiammingo per un musico olandese. Soprattutto il Ballo gode molto delle possibilità del claviorgano: una continua alternanza, ricca di abbellimenti alla van Asperen (cioè briosi e poco invadenti). Dopo l'applauso, l'amico Bob si alza e si profonde in un inchino simpaticissimo, in cui borbotta di continuo una parola che mi sfugge e solleva il sopracciglio. Estrae allora un foglietto di carta da cui legge delle ordinate parole in italiano corrente, per illustrare il pezzo successivo - o, per meglio dire, i pezzi: è la suite xii in do maggiore di Froberger. Spiega che il Lamento per Ferdinando è dopotutto in do, è speranzoso, così come la scala finale è una simbolica scala di Giacobbe; e sempre in materia di simboli, parla dei disegni autografi nel ms. di Froberger, "un rebus" che, opportunamente risolto, illumina il carattere fortemente emblematico delle figurazioni musicali. Meravigliosa, poi, soprattutto la finale sarabanda, glorificata dal suono di questo magnifico strumento. Parla poi un altro po', spiegando che la canzona quarta di Kerll e la Fantasia II di Froberger, entrambe in mi minore, sono il frutto di una "competizione amichevole" fra i due, e precisa che - se le tendenze dei due non sono identiche (Kerll più "ingarbugliato", Froberger più lucido e interessato ai controsoggetti) - tuttavia il concetto di base è lo stesso. Soprattutto Froberger risplende nel salto tra le tastiere, i registri e gli strumenti, e i controsoggetti sono resi in effetti ancora più interessanti. Si passa poi all'Inghilterra di Purcell, di cui vengono suonati "A new Irish Tune or Lilliburlero" (Ground "With him he brings the Partner") e "Sefauchi's farewell" (Ground "Crown the Altar"); soprattutto il primo è riportato a un senso di danza folcloristica, grazie anche all'unione del crepitio del cembalo e di un regale, con l'effetto, si direbbe, di una cornamusa. Di seguito arriva l'anepigrafo "My Lady Careys Dompe": la scelta di farlo perlopiù al liuto del cembalo è esotico e azzeccato. Una primizia, infine, la "Passacaille del Seigr. Louigi", Luigi "Rossi, probabilmente" aggiunge Bob, che evidentemente fa riferimento ad un ms. (quello indicato come ms. Bauyn, nel programma) e alla difficoltà di lettura che presenta; ne sottolinea a voce gli intensi cromatismi all'italiana, tutti esaltati poi con regolarità alla tastiera. Per concludere, la suite in re minore di un altro Louis, il Couperin che gli sta tanto a cuore. Cosa, questa, che si capisce all'istante: il preludio "non mesuré" è di un virtuoso eccezionale; bellissime le danze, alcune meno 'ballate', ma altre - e in particolare le finali "Pastourell" e Chaconne - riuscitissime. Applausi inesauribili (anche se gli zotici in sala, dell'età media di 70 anni di ordinaria ignoranza, anziché richiamarlo con scrosci più intensi, aspettavano che si ripresentasse lui per aumentare il volume...). Il bis è una trascrizione di una cantata di "Giovanni Sebastiano Bach" (come prima Händel era stato presentato prima come George Frideric Handel, con pronuncia inglese, poi come Georg Friedrich Händel, con pronuncia tedesca sottolineata dalla geniale aggiunta "aus Halle"); quale cantata fosse, poi, non l'ho capito (forse la BWV 17 "Wer Dank opfert, der preiset mich"?).
Me ne vado un po' sconsolato per il fatto che non avrò, almeno in questa occasione, la possibilità di mettere mano sul claviorgano, e per il fatto che mi sono perso tutti i concerti precedenti.
Dopo una notte di poco sonno (per il freddo, più che per il caldo) arriva il giorno che scopro essere dedicato a S. Alberto, patrono di Trapani con il magico potere di annullare le corse degli autobus locali: dopo avere recuperato il numero dei taxi presso la stazione di valle della funivia, per fortuna arriva una navetta che mi porta alla fermata della Segesta; bottiglietta d'acqua comprata in un panificio (che l'aura di S. Alberto non ha toccato) e ascesa di fortuna sul pullman. Lì mi pento subito di essermi seduto al mio posto attuale, e dopo un po' me ne allontano, dopo avere ascoltato (malgrado l'ipodde) l'ennesima storia del tipo davanti a me, che stavolta riferiva un ameno scambio di opinioni - tra lui e quella che credo essere stata una prostituta straniera - sul nobile argomento delle grandezze e delle loro unità di misura. Si sente già aria di Palermo.
Ah, a proposito: arrivato al porto, vedo il panfilo del sultano dell'Oman

e penso con orrore all'accattonaggio municipale che si è attivato in questa insignificante occasione. Sì, è proprio l'aria di Palermo - e, soffocando un po', me ne ritorno nella rocca della mafia, pensando all'insegnamento della Klassische Philologie nel sultanato dell'Oman.

6.8.08

Siena, 30 luglio 2008

Non è venuta granché, ma dovrebbe rendere l'idea



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