Dicono di GZ

17.5.10

Montréal 2


Giorno 2. mercoledì


Siamo dunque particolarmente inviperiti per il cimitero in cui ci hanno catafottuti (Eug e Alb capitano meglio, visto che le matrimoniali sono di più e meno sfigate). Decidiamo quindi di uscire determinati a sconfiggere la fame nel mondo, facendo un’insufficiente colazione con le cibaglie non proprio eccellenti del posto, e a ottenere una nuova stanza, avendo i primi contatti col belloccio della portineria, che gentilissimamente e senza nemmeno increspare la fronte (e non è la mia solita surrealtà: è vero!) ci dà le chiavi delle altre due doppie dell’hotel, per scegliere quella che più ci aggrada.

La prima è un bagno. Tu apri e ti trovi in un bagno, bellissimo, con il wc splendido, la doccia a vetri e le piastrelle lustrenti, dopodiché apri una porta a soffietto (non accessibile che dal wc-disimpegno-ingresso di lusso) che dà accesso a uno stanzino adibito a stanza (ma ha la finestra apribile, a distinguerlo dal nostro), con due letti a castello e una tv, e nient’altro. Nella stanza originaria c’è almeno il falso armadio, cioè una graticola di 50cm con qualche gruccia per appendere vestiti.
Proviamo dunque con l’altra, l’ultima possibilità, ma il fatto che sia di fronte alla nostra non ci fa ben sperare; e in effetti è precisa alla nostra, salvo che per i due ballerini ungheresi di ceramica che allietano il capezzale (uno sfigato in casacca e una zoccola scosciata, rispettivamente per i due letti). Proviamo a portarci via almeno la mensolina dello specchio del bagno, che da noi non c’è; ma scopriamo che da noi c’è troppo gioco e che quindi viene via, che cioè al primo errore il nostro latrocinio verrebbe punito secondo i dettami della Bibbia (opportunamente collazionati sui vari esemplari disponibili nei cassetti). Quindi riunciamo pure alla mensola, e sconfitti lasciamo tapini la portineria, rintanandoci nel sarcofago per prepararci all’uscita.
Come sei bella, Montréal! Mi ricordi la morte per schiacciamento a un rave party in un capannone all’uscita di Sondrio. Superiamo questi tuoi angoli più ridenti per giungere nel cuore dei servizi, con i grattacieli specchiati che navigano come forme di burro nella zuppa informe dei palazzi anniottanta, delle cementate sporche, dei millanta cantieri e dei ghiribizzi architettonici di chi evidentemente scimmiotta l’Europa senza aver mai visitato Roma o Vienna. Scopriremo solo dopo che questa faccia, forse ancor più raggrinzita dalla delusione, è quella sfigata, e che invece quella estiva è fantastica – ma dura manco tre mesi.
Visitiamo un po’ quello che c’è da visitare a cielo aperto e, mossi da una fame intercontinentale, ci ritroviamo a Eggspectation, il posto dove l’uovo è talmente onnipresente che la gallina qui non è mai nata per non creare problemi.
La Tard torna in albergo – ci prova, almeno: prende St. Urbain per St. Hubert, non sapendo che un papa si orienta peggio di un patrono dei cacciatori. Tra qualche ora mi convincerà ad anticipare il rientro. Noi invece ci arrampichiamo sul belvedere appannato di Parc Mont Royal. Durante l’ascesa incontriamo due volte la stessa chiattona bionda che era talmente grossa da potersi sdoppiare e confonderci. Qualche scoiattolo ci attraversa la strada con una ghianda in bocca, finché non arriviamo appunto al belvedere dove la cosa meno coperta dalla nebbia è il set di un qualche filmaccio insostenibile per il pomeriggio bimbominkia di Italia1.
Torniamo giù e in albergo: come anticipavo, decidiamo di tornare a casa prima. Fatti i biglietti, sentiamo bussare alla porticina: Georgia (o Inuit, come l’abbiamo ribattezzata, nonostante sia in realtà una greca) è spiaciuta di non averci dato una doppia di nostro gradimento e siccome andiamo via prima può darci… una suite. Due letti matrimoniali, un divano a due posti, una poltrona, un armadio finto-ma-capiente, un bagnetto più grande con il box doccia e, cosa che in Canada non è evidentemente d’uso, la finestra – anzi due finestre, ma solo una funziona, per bontà di Manitù.
Tutti euforici, vogliamo farci indorare la giornata da un altro greco, ed entriamo in un ristorantino dove le mie prodezze neogreche non vengono ripagate dal solito dolce offerto dalla casa; in compenso mangiamo bene e ce ne torniamo in camera satolli. Dimenticavo: prima di cena ci eravamo imbattuti in una scena del crimine recintata da poliziotti seriosi e sudati, tutti presi dall’unico crimine dell’anno in un mucchio fermo di sirene. Un barbone ha accoltellato un altro barbone, fine dello spettacolo.

Cornice 2.

Un poliziotto passa lungo il corridoio dell’Eurostar, e io mi sento in colpa come sempre mi accade davanti a un poliziotto. Forse dovrei convincermi a commettere qualcosa. Nel frattempo i concerti di Vivaldi mi inebriano come un festino porno in una suite d’albergo.

1 commenti:

Anonimo ha detto...

metti del porno