Dicono di GZ

29.4.10

Montréal 1

Cornice.
Svegliarsi scoprendosi ancora in viaggio è una delizia, soprattutto quando il viaggio ti ritorna a casa. Soprattutto, anzi, quando sei arrivato e non te ne accorgi, se non per il fatto che sei l’unico a non alzarti e a continuare l’ascolto trasognato di qualche disco. «Paris Gare du Nord!» quindi in realtà potevo anche capire, ma… la Manica? L’abbiamo già attraversata? O intendevate forse che il tunnel è nell’intersezione tra propaganda e progressismo, insieme all’allunaggio e alle armi di distruzione di massa in Iraq? Decisamente mi ha fatto male il viaggiazzo in Canada…

Giorno 1. martedì
Si parte presto da Teddington (pron. [Tschèrintn]): cinque ore d’anticipo dovrebbero bastare. Fatta la stradella che porta direttamente da casa alla stazione, ci inoltriamo nella Londra dei vecchietti con una pensione mediamente buona, e ci fermiamo ad aspettare l’autobus, il cui numero, X26, mi pare più la targa di un rottame di Alpha Centauri. Ci mettiamo davanti al palo con gli orari e a un certo punto noto il biscione di londinesi (si capisce che sono londinesi dai denti storti, dalla vecchiaia malvagia e dall’abbigliamento) che ci si è formato alle spalle. Mi piacerebbe anche, questa sensazione d’essere un inconsapevole apripista – della serie scopro la pennicillina mangiando muschio da un marciapiede – ma sento incombere il perfettismo aggregativo della Capitale delle Code (che non è, a dispetto di quanto più spesso si crede, Scodinzopoli).
Durante l’attesa passano talmente tanti sciancati – quale zoppo a destra, quale a sinistra, quale zoppo di mani, quale di orecchio, uno addirittura con la vescica visibilmente vuota – che mi pare d’essere in una clinica a cielo aperto. Comunque, con cinque minuti di impensabile ritardo, il bionico X26 («One, please». «2 pounds». «(ammappa!)») ci porta, attraverso grigiastri budelli di imperialismo sconfitto in casa, fino alla stazione, e da lì andiamo a Heathrow, la città più piena di aerei del mondo. Città servita da autostrade proprie, mezzi propri e un sacco di servizi (bagni XL per persone bagagliodotate in primis). Avendo fatto la carta d’imbarco elettronica, andiamo direttamente al Bag Drop, dove l’incrocio di Franca Valeri e Winston Churchill mi fa domande assurde del tipo: «Lei sa che Twin Peaks finisce male?». «Beh, sì». «Lei sa anche che gli aerei possono scontrarsi con un Mini Pony, e che in quel caso British Airways non risponde di nulla?». «Ah, pensavo di sì… vabbè, mi adeguo». Andiamo oltre al check-in, dove mi fanno togliere le scarpe per paura che possa prendere a calci i simpatici celerini sottopagati (la Tard ha i calzini bianchi a pois rossoverdi e si vergogna troppo), e ancora oltre all’imbarco.
Lì cerchiamo Alb, ma troviamo solo una scolaresca che minaccia col suo chiacchiericcio le speranze di relax in alta quota. Saliamo dunque e raggiungiamo con qualche obesa fatica la fila 37 («Ché·ccosì s’è·ppiù·vvicini ar·cesso» flautava la Tard al momento della scelta). Ecco infine spunta Alb all’orizzonte, dietro un codazzo di rottami che richiamano inevitabilmente, e con sensibile somiglianza audiovisiva, altrettanti catorci di mamma SNS. A questi esemplari della mitologia comune, si aggiungono altri, tipo la giovane boscaiola e il vecchio camminatore di corridoi d’aereo, e insomma la plebe è pronta per involarsi. Quegli altri, quelli della prima classe e della primissima superclasse con i sedili in forma di letto circondato da pannelli tecnologici, probabilmente sono già in volo o hanno il teletrasporto incluso nel miliardo per il biglietto.
Sono accorto abbastanza da non addormentarmi e tirare quanto più posso, cioè per tutto il viaggio e fino alla ancora lontana deposizione sul letto. Nel frattempo sullo schermetto davanti al mio sedile seguo un film tra i molti gentilmente offerti da British Airways: Avatar, che volevo vedere e che effettivamente dovrò rivedere con megaschermo e amplificatore. British Airways ci dà anche la cena, in due scaglioni: nel primo si cena veramente, dove ‘veramente’ include anche la surrealtà dello spezzatino con verdure confezionato e servito caldo; nel secondo ti arriva un doppio tramezzino allo sputo di cammello impastato con occhietti di rana caduti mentre la rana vomitava e raccolti dalla pozzanghera. Abbiamo però nosco un sacchettino pieno di tramezzini buoni comprati a terra, ma non sappiamo che dovremo rinunciare per la stanchezza e l’ostacolo spaziotemporale della frontiera, dove facciamo una fila di quasi un’ora per raggiungere i beoti, uno dei quali mi chiede: «Perché viene in Canada?». «Per una conferenza». «Di che ambito?». «Letteratura». «Che letteratura?». «Italiana». «E perché allora viene in Canada?».
Superato l’impasse storico-culturale, ci ritroviamo nel Canadà più europeo… ma mi renderò presto conto che Albano e Romina stavano da tutt’altra parte. Noi cerchiamo semmai di raggiungere l’hotel in taxi (tra le cose più economiche da quelle parti) e infine ce la facciamo, raggiungendo così anche Eug che si trova già lì, essendo arrivato da qualche ora da Nuova Amsterdam. Da fuori l’hotel (ostello? albergo? Timpano™?) sembra carino, e anche i primi contatti sembrano promettenti. Ma… «Prego, è al piano di sotto». «(Cioè sottoterra?)». Ebbene sì, la nostra stanza è uno scantinato anaerobico convertito in stanza da qualche padre fondatore, i cui cimeli si trovano ancora lì, al di sotto dell’alta finestrella non apribile, che dà direttamente sulle ruote di una bici scassata; vedi forse anche volare una cartaccia unta. Decidiamo che prima di tutto bisogna dormire e rimandiamo tutto a dopo, dopo il ristoro del sonno e del silenzio. Una lavastoviglie nella notte, sulla cantina, per qualche mezzorata.
Cornice 1.
Nel frattempo sto superando qualche chilometro di gallerie. Mangio con inaspettato gusto il panino con prosciutto, cheddar, mostarda e lattuga che ho preso alla stazione. Sapevo che anche la cioccolata peruviana con sale marino mi sarebbe piaciuta; ne lascio metà per la prossima piccola fame del viaggio. Ogni tanto devo anche trangugiare cibi immaginari per stapparmi le orecchie (il senno di poi mi dirà che era questo il tunnel sotto la Manica). Sto ascoltando i concerti di Vivaldi per viola d’amore comprati a Montréal, i cui negozi di dischi sono evidentemente superiori agli hotel trestelle.

1 commenti:

Claudia ha detto...

B-O-M-B-A-S-T-I-C-O! Attendo trepidante il resto...