Dicono di GZ

6.4.10

L'ondhra


Comincia la saga italo-anglo-canadese.
Arrivato in aeroporto, com’è ovvio, il mio era l’unico aereo in ritardo. Naturalmente il motivo è che Easyjet non ha gli aerei usa e getta (Usyjet: è proprio un’altra cosa) che hanno tutti, ma ti ripropone caldo e palpitante quello che ha appena fatto la rotta inversa alla tua. Tuttavia nessun altro Easy-tantoperdire-jet era in ritardo, e mi dico che c’è del senso più nascosto.

D’altronde non si è andati oltre la mezz’ora d’attesa. Ma allora in che modo piagarmi più a fondo? Ecco quindi che mi mettono l’unica cecchina (addetta crivellapalle al Check-in) che fa pagare i 2 chili di troppo, per 24 modici euro. «Guardi è pesante perché devo andare in Canada». «Ah, ma allora sono veramente necessari». «(Cazzo, ha capito, è fatta!)». «Sono 24 euro, in biglietteria, ma non rifaccia la fila».
Mangio un panino con cotto e fontina, «Cotto e fontina per lei, prego» ma il cotto è in realtà crudo e la fontina è più una bava collosa al sapore di Pritt. Scelgo di prendere il caffè oltre il metal detector, tanto peggio di così… Allora faccio i miei ridenti chilometri per arrivare allo scanner, rischio di far cadere il Mac («DLONG!», anzi «SCROC!») e passo. Tutto ok, ma… «Ha mica un cappio o una catena nello zaino?». «No, ovviamente no». «Allora guardi, apra lo zaino così verifico». Si scopre che la tipa non aveva mai visto un lucchetto per portatili e dopo avere ispezionato tutti i numeretti della combinazione a disco si convince che non è un cappio o catena per fare precipitare gli aerei (tipo arpionando uno stormo di cicogne?), e mi lascia passare.
Sul tabellone nessun gate per il mio volo. Allora vado avanti verso il bar, prendo un caffè e un budino di riso e fin qui tutto bene. Al di là, tra i morti abbandonati sulle poltroncine unticce, mi faccio uno spazietto per mettermi comodo, nell’attesa che il gate si manifesti. Ovviamente niente e quando mi decido a chiedere mi dicono che devo andare al 24, cioè l’ultimo, al piano di sopra, oltre le scale, superati i cancelli e il baracchino del controllo passaporti. «Ma io vado in Inghilterra, nell’UE». (da immaginare con favella partenopea) «Sì, un attime -- Ciao Robbè, sì, le guerre contro i persiani, sì… Serse, Serse, come Serse Cosmi». Ebbene sì, il boss di questo livello era il poliziotto napoletano imbevuto di cultura classica. «Prego, può passare». Superata la schermata, la nuova mi vede immerso tra turisti inglesi, che come tutti sapete portano magliettine corte e fresche che nascondono grosse ascelle a culo di bufalo, odori compresi. Ovviamente ci imbarcano con ulteriore ritardo di qualche decina di minuti, ma il gioco è fatto: sono sull’aereo! «Ueeeeeeeeee!»: al mio fianco una coppia di sino-corean-vietnasiatici e il bimbetto appena nato. A parte la paura iniziale («Devo sedermi qui?». Hostess inglese svaccata, lignea: «SÌ») sia il padre, dotato dalla natura dell’usuale fotocamera substernale, sia il bimbetto si addormentano placidi. Riesco a ficcare sotto i piedi del padre la borsa della mia macchina fotografica (altra hostess: «Per favore metta la borsa sotto il sedile». «Guardi è già pieno, c’è lo zaino; non si preoccupi, la tengo sulle ginocchia». «Per favore metta la borsa sotto il sedile». «Vabbè… uso quell’altro? Il signore dorme…». «Per favore metta la borsa sotto il sedile». Tutto senza cambiare faccia, comunque). Infine si parte. Qualche minuto dopo il decollo, la terza hostess – una chiattona che manco a Striscia la Berisha – arranca in obliquo per il corrioio, come quel famoso elefante che dondolava sopra il filo di una ragnatela. Ma reputando la cosa poco interessante, evito di andare a chiamare un altro elefante e mi metto a leggere la guida del Canada, comprendendo dal peso che avrei dovuto cominciare qualche settimana fa («Non ti eri accorto che era così pesante, quando l’hai comprata?». «No, avevo una disfunzione tattile»).
Atterriamo tranquilli, le hostess buzzicone mandano il messaggio automatico in italiano (ridendo per quella stupida formalità, visto che per gli italiani probabilmente non ci sono nemmeno le maschere a ossigeno) e scendiamo. L’aeroporto è grandissimo (non come Heathrow – l’onniscienza del narratore mi informa già sul prossimo volo) e tra le prime cose che vedo c’è una pubblicità di viaggi estivi (lessico tecnico) dove l’unico umano è un tipo ripreso dall’alto che sta giocando a qualcosa, con le spalle e le cosce visibilmente ustionate. Sarà stato inglese: protezionismo pubblicitario? Subito dopo, una serie di cartelli costeggiano la scalona mobile, imponendo una molto protezionistica e molto inglese «DISCIPLINE» con varie immagini: un salvadanaio a forma di porcello, qualcos’altro, qualcos’altro ancora (il porcello mi rapiva). Arrivo, passo il controllo documenti («Where did you fly from?» che, siccome sono straniero, mi viene spiegato con un gesto della mano come quello che si fa per imboccare i bambini, tipo «Ecco che arriva l’aeroplanino»), seguo l’insegna TRAIN e trovo il primo inglese con i dentoni storti ipnotici che mi parla e non lo capisco. A poco a poco arriviamo alla verità, che cioè due prepagate su due non funzionano sulla sua macchinetta. E allora torno indietro, ritiro i soldi al bancomat (lì la carta funziona), ritorno lì, pago con la faccia della regina stampata in viola, e mi dirigo ai treni. Lì capisco che l’integrazione razziale qui c’è stata, ma ha comunque relegato gli stranieri a ranghi subalterni. «De trèn apter» mi dice il cingalese quando gli chiedo quale treno devo prendere. Fortunatamente so che ‘f’ approssima a ‘p’ senza tratto fricativo. Salgo sul trenino, nessun posto. Poi ridiscendo e risalgo su un altro treno, grazie alle indicazioni stavolta di una donnona nera che manco mi sorride quando provo a ringraziarla.
Arrivo finalmente a Teddington. Di qui in poi poche cose surreali, a parte l’incontro con Tard. Poi un’ottima pizza e un sasseo sonno ristoratore. Ora si riparte, e quindi presto ricominceranno le cose surreali…

1 commenti:

sara ha detto...

ciao amore genietto! mi fai cominciare la giornata ridendo e per questo ti meriti un bel §:****
buona domenica (quando ti sveglierai), a più tardi se ce la fai, e se no a domani! :)